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La religione dei veneti antichi ed il santuario di Làgole
Il culto per i veneti
La dea Reitia
Secondo l'opinione di illustri ricercatori (R. Battaglia, G. Fogolari, L. Capuis, ecc.) i Veneti possedevano una forte religiosità, testimoniata nella Venetia adriatica dai numerosi luoghi di culto che sorgevano in tutta la nazione e dalle migliaia di materiali raccolti nelle stipi votive. In Europa solo gli Etruschi e forse i Celti hanno lasciato così tanti reperti a carattere religioso.

La religione dei Veneti antichi era semplice, ma non di immediata comprensione per noi uomini moderni; per quanto ci è dato di sapere dalle iscrizioni epigrafiche venetiche e dal materiale sopra ricordato era molto legata alla natura. Usando una terminologia impropria, possiamo dire che l'anima dopo la morte, se andava nel van - una specie di paradiso - poteva entrare in un perfetto equilibrio con il cosmo, unita all'assoluto.

A differenza della religione greca, egiziana, latina ecc., i Veneti non possedevano un pànteon di divinità complesso e gerachizzato. Gli dei nazionali erano:
- la dea madre, dea lunare, della terra, sanante, che prendeva il nome della nazione veneta ove veniva venerata, per esempio Retia nella Rezia, Noreia nel Norico, Histria in Istria e Reitia nella Venetia adriatica.
La dea Reitia aveva la stessa importanza della divinità maschile, come la donna nella società venetica nei confronti dell'uomo;
- il dio padre, divinità solare, sanante, che venne sincretizzato dalla cultura classica in Apollo, Diomede e Belenus-Augusto. E per ora fermiamoci qui, in quanto l'argomento verrà ripreso più avanti.
 
I santuari
I santuari dei Veneti antichi - in base all'ideologia venetica del culto - non prevedevano la costruzione di strutture monumentali ed essendo luoghi di incontro comunitario venivano fondati vicino alle vie di transito, generalmente circondati da boschi sacri. Essi erano costituiti da un'area molto vasta che doveva presentare dei requisiti precisi per le tante funzioni di culto; l'area veniva scelta dalla comunità e poi delimitata da cippi terminali spesso iscritti in venetico o da mura.
I santuari - spesso in stretto rapporto con l'acqua - si trovavano lungo i fiumi, ad esempio ad Este, a Padova, a Vicenza, ecc., sui laghetti di acque termali a S. Pietro Montagnon sui Colli Euganei, a Fimon sui Berici, ecc., sulla laguna ad Altino, o in prossimità di fonti o di sorgenti a Làgole. Resti di una struttura in legno, si pensa ad un piccolo tempio, sono riemersi al centro del Lago di S. Pietro Montagnon e al centro di laghetti in Lusazia.
I santuari dei nostri progenitori venuti alla luce in anni di scavo presentano delle specificità che fanno pensare a diverse "specializzazioni", per esempio ad Este in quello del fondo Baratella e a Vicenza funzionavano dei centri scrittori, dove i sacerdoti e le sacerdotesse insegnavano l'arte sacra della scrittura.
Il santuario di Làgole
Il dio Belenus
Uno dei principali santuari dei Veneti antichi è quello di Làgole, situato sul versante occidentale della valle della Piave, nel mezzo del primo ampio allargamento vallivo venendo dalla pianura.
Il suggestivo paesaggio montano di Làgole, ricco di acque sotterranee che emergono in polle e laghetti, contribuiva a creare un'atmosfera magico religiosa. Gli effetti positivi per lo spirito erano accompagnati a quelli per il corpo, avendo le acque minerali notevoli proprietà curative, attribuite alla divinità. Il santuario conobbe una frequentazione ininterrotta almeno dal IV sec. a.c. al IV d.c. ed i ritrovamenti sono costituiti da numerosi bronzetti di offerenti, guerrieri con lancia o con elmo e spada, laminette rettangolari, vari tipi di armi (elmi, spade, cuspidi di lancia, pugnali e lame di ferro), oggetti di uso comune quali fibule (spille), ganci, pendaglietti, ancorette, alari, spiedi, coltelli di ferro.
A Làgole sono stati rinvenuti in gran quantità dei simpuli, una specie di mestoli di bronzo dai lunghi manici utilizzati dai devoti per il rito della libagione.
Il rituale consisteva nel bere l'acqua delle fonti con il mestolo e versarne un po' sulla terra; il simpulo veniva poi spezzato, staccando la coppetta dal manico per impedire il suo riutilizzo e gettato sui pendii, in aree sacre. Sul manico del simpulo era incisa un'iscrizione in lingua venetica dedicata alla divinità. Oggetti simili sono stati rinvenuti anche in altri luoghi dove si trovavano sorgenti di acque termominerali: a Valle di Cadore, a San Maurizio e a Pervalle vicino a Valdaora (Bolzano), tutti probabili siti di culto.
Oltre ai riti individuali si praticavano processioni e cerimonie collettive con il sacrificio d'animali, che venivano successivamente bruciati su grandi fuochi, a ciò seguiva un banchetto sacro. A Làgole sono stati recuperati numerosi spiedi di ferro, carboni, bronzetti deformati e semifusi, oltre duemila caviglie e mandibole di giovani montoni.
La fama del santuario raggiunse nell'antichità tutta l'area nordorientale adriatica (Veneto, Trentino, Sud Tirolo, Friuli, Istria e Lombardia orientale), quell'alpina e centro europea. Essendo assai vicino allo spartiacque alpino - situato in un percorso di raccordo tra l'area nordeuropea, quell'orientale e quella adriatica - era facilmente raggiungibile da pellegrini che abitavano località anche molto lontane.

 
Làgole fungeva pure da sede di diffusione culturale, di produzione artistico-votiva - per merito dei "maestri" scrittori delle sacre dediche (sacerdoti-artigiani) - di ritrovo per artigiani metallurgici e per pastori, militari e mercanti.
Ma, qual'era la divinità sanante venerata a Làgole?
Nelle iscrizioni che appaiono sugli oggetti votivi in bronzo, in particolare sui simpuli e sulle laminette ex-voto viene indicata con il nome arcano di Trimusiat o Tribusiat. Nella radice tr è evidente un riferimento al numero tre; a rafforzare questo mistero fu scoperta di una laminetta votiva piuttosto rovinata, con incise tre testine umane. Studiosi da tutta Europa tentarono invano di risolvere la questione.
In una prima fase si pensò alla greca Ecate, ipotesi abbandonata poiché il santuario ha una connotazione maschile; sono maschili gli ex-voto, i dedicanti, e l'interpretazione romana che parla di culto di Apollo.
Il noto glottologo sloveno Matej Bor fu il primo a decifrare in modo soddisfacente un gran numero di iscrizioni venetiche, con l'aiuto della lingua slovena e di antiche lingue slave, molto simili al venetico; Trimuzjat in sloveno significa tre uomini, Tribuziat tre divinità.

Nel pànteon dei Veneti si trovava, secondo lo studioso J. Savli, anche la divinità dell'universo, una trinità che simboleggiava il cielo, la terra e gli inferi. Essa era di solito immaginata e disegnata con tre teste come nel più antico simbolo dell'universo, la grande montagna - axis mundi - la quale nelle credenze popolari collegava la terra ed il cielo. Le tracce di questa tradizione si sono conservate sino ad oggi nella toponomastica delle Alpi, dove alcune montagne - senza avere tre cime - portano nomi triadici. Ad esempio: Pizzo dei Tre Signori (2554 m) a nord di Bergamo, Dreiherm Spize (3499 m) sulla frontiera italo-austriaca nel Tirolo, il Triglav (2864 m), la cima più alta della Slovenia. Altro dato di grande valore simbolico è che a Làgole esistono tre laghetti salutari.
I fedeli andavano, quindi, in pellegrinaggio fra le montagne cadorine ove si venerava la divinità dell'universo, per guarire o per mantenersi in salute. Vediamo adesso la traduzione di alcune iscrizioni venetiche di Làgole eseguita da Matej Bor: "Il reumatismo è una cosa seria, vai perciò in pellegrinaggio a Trumuzijata che ti farà guarire"; "Visto che hai forti dolori reumatici recati dai Tre divini"; "Quando i reumatismi ti perseguitano recati in pellegrinaggio a Trumuskatei con un dono"; "Vieni pure qui (a Làgole) ma porta un dono alla Splendida (divinità)"; "Per quanti dolori tu possa avere porta un dono a Tromozje".

L'acqua di Làgole non rappresentava una fonte medicinale solo per la gente, ma anche per l'amato cavallo; per lui i Veneti chiedevano l'intercessione di Tribusiat con iscrizioni su lamine di bronzo rettangolari incise a sbalzo, di gran valore artistico. Lungo il perimetro di una delle lamine più famose è raffigurato un cavallo scalpitante con incisa la frase: "Quando l'avrai domato recati da Tromozje con un dono". In altre analoghe laminette gli studiosi sloveni hanno trovato le seguenti raccomandazioni: "Quando il puledro soffre di reumatismo vai da sajnata Trumuzijat e il cavallo verrà guarito"; "Le cavalle che stai portando ad accoppiarsi soffrono di reumatismi, portale in pellegrinaggio dalla splendida sanatei Tromozijat.
Mariarosaria Stellin
Fabio Bortoli
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