El Lunario Veneto
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Ogni anno l’associazione realizza un lunario che inizia, secondo l’uso
veneto (more veneto), il primo giorno di marzo, seguendo remotissime
consuetudini. Il principio dell’anno nuovo era direttamente legato al
risveglio della terra (la “verta”, ossia la prima-vera) dopo la stasi
invernale.
Nel calendario sono indicati i principali cicli astronomici (fasi
lunari e stagionali), le feste del calendario liturgico, i santi
(evidenziando quelli veneti) e le più importanti feste (sagre) del
Veneto. Ogni anno vengono, inoltre, inseriti proverbi e detti veneti.
La lingua utilizzata è quella veneta secondo le indicazioni fornite dal
Manuale di Grafia Veneta realizzato dalla Regione Veneto e con le
ulteriori specificazioni presenti nell’Alfabeto
della lingua veneta curato dalla nostra associazione.
Il Lunario è un piccolo tassello per il recupero delle antiche
tradizioni venete che s’inserisce nella più ampia situazione di
riscoperta della civiltà veneta e cristiana.
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Festività e tradizioni venete di Natale e dell'Epifania
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... è il giorno più corto dell'anno; la luce si affievolisce, la terra è fredda.
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... nasce il nuovo sole e con lui un bambino di nome Gesù per garantirci la vita eterna.
Nei Vangeli non vi è cenno preciso alla sua data di nascita, che
è stata fatta coincidere simbolicamente con il solstizio
d'inverno; Cristo è il sole e la luce, così venne
annunciato dai profeti nell'Antico Testamento.
I Veneti antichi adoravano una divinità maschile, sanante,
solare, il dio Belenus, sincretizzato dai Romani in Apollo oppure in
Diomede.
Sul Montello (Treviso) a Vidor, a Castello di Godego, a Montebelluna e
in diversi paesi della zona si elevano - sulle cime delle colline - dei
castellieri perfettamente allineati dove sorge e tramonta il sole.
Nella tarda età del Bronzo, secondo degli studiosi di
archeoastronomia (ad esempio il Prof. Giuliano Romano di Padova)
venivano accesi fuochi da una cima all'altra nel solstizio d'inverno,
quasi ad incoraggiare l'astro nel passaggio da una stagione a quella
successiva e a dargli forza, in armonia con la divinità.
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Il 5 gennaio, vigilia dell'Epifania ...
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nel Veneto ed in Friuli, generalmente in campagna davanti a casa,
oppure lungo i fiumi o nelle piazze delle città, si svolge una
cerimonia dal carattere mistico, chiamata nel Veneto Panevìn o Pìrola-Pàrola.
Viene allestito un grande Berolòn/falò, ammassato su di
un palo dritto di gaxìa/acacia e composto da canne di
santurco/granoturco, da rami di arbusti, siepi, roe/rovi e stoppie
dell'inverno, tra le quali - in tre differenti punti - devono esser
sistemati i simboli del raccolto, cioè scartòsi de
panòce/brattee di granturco, fascine de rami de vida/di rami di
vite e de la paja/paglia.
Dopo il rintocco dell'Ave Maria inizia la funzione sacra.
Una donna canta strofe propiziatorie, poi getta dell'acqua santa sopra
il falò, lo benedice, si sposta darènte/vicino ai punti
dove si trovano i tre simboli appena ricordati e prega il Signore,
sempre ad alta voce.
A lei subentra il bambino o la bambina più piccola della
famiglia o del gruppo, che attizza il falò con della paglia.
Ed arriva il turno degli uomini, uno di essi ha il compito di
pronosticare l'andamento dell'annata agraria seguente, in base alla
direzione del vento, delle faive/faville e del fumo, ricorrendo a modi
di dire legati alla solennità.
Quando il falò sarà ridotto in cenere un'altra donna gli
girerà intorno e con un bastone in mano lo segnerà con
tre croci invocando il Signore, quindi, i presenti calpesteranno la
cenere, pronunciando preghiere e frasi beneauguranti.
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Le foghère/fuochi vengono ripetute a metà quaresima, alla fine dell'inverno.
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Il rito prevede inoltre che si mangi della focaccia dolce schiacciata - la pintha/pinza - preparata solo per tale occasione,
con farina gialla di mais, uva conservata, fichi secchi, zucchero, semi
di finocchio, latte e grappa; prima del 1500 si usava il miglio o il
grano saraceno al posto del mais.
La pintha viene fatta cuocere sotto la cenere calda del Panevìn ed avvolta in foglie di cavolo o di verza; per riscaldare i cuori la si accompagna con del buon vino brulè.
Pure nelle case si cucina la pintha e le toxe/ragazze da marito se
vogliono assicurarsi la fortuna de maridarse inte l'ano/di sposarsi
entro l'anno, la devono assaggiare in ben sette famiglie di conoscenti.
Non ci è dato di sapere se fin dai tempi remoti - com'è nell'attuale costume - nel falò si bruciasse la vècia/vecchia,
che nella lingua veneta è chiamata Maràntega (mare antiga
= madre antica), oppure Redodexa o nelle nostre isole Veròla.
Essa rappresenta Reitia - la dea della Terra a conclusione del ciclo
delle stagioni - ormai vecchia; dopo esser stata ridotta in carbone e
trasformata perciò in energia, rinascerà a primavera
nuovamente bella, giovane, pronta a regalare i suoi doni.
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In
questa serata magica i Veneti mettono da parte i computer, i
telefonini, le corse stressanti per il lavoro e ritrovano la voglia di
far festa comunitariamente, di ascoltare e di parlare con la natura.
Non vogliono rinunciare alla memoria trasmessa di generazione in
generazione, manifestando un forte attaccamento alle proprie radici ed
una capacità intima di comunione con la propria
cultura.Attraverso i fuochi del Panevìn si vince
l'oscurità spirituale del mondo moderno, la solitudine, i mali e
le paure del quotidiano, per ritornare alla vita di tutti i giorni
rigenerati e solidali con il prossimo.;
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Di certo, chi ha conoscenza della nostra millenaria civiltà sa che i Veneti antichi - popolo di origine centroeuropea - furono i primi in Europa a praticare l'incinerazione dei defunti,
seguendo un rituale preciso; dalla scelta della legna da ardere, alla
cerimonia della libagione, al banchetto sacro, alle preghiere e formule
dedicate alla dea Reitia, la quale accompagnava il morto - dopo essere
stato purificato dal fuoco sacro - ad una nuova vita e dimensione
spirituale, nel van paradiso/universo.
Alla donna spettava, nella società venetica, un ruolo di
parità con l'uomo, ma essa in particolare fungeva da tramite con
la divinità.
Ebbene, nel Panevìn ritroviamo la stessa simbologia e
richiamo alla speranza della cultura venetica, con un'impressionante
coincidenza di significati. Il transito dalla vita alla morte, da
un anno ad un altro, lo si festeggiava collettivamente ed il fuoco -
attributo del dio - liberava gli uomini dalle malattie e dalle
sventure, caricandoli di energia positiva; oltre a ciò si
praticava la divinazione attraverso la lettura della forma e del colore
del fuoco sacro e del suo fumo.
Nonostante l'invadenza e la pressione di modelli culturali omologanti,
consumistici e sciocchi, nel Veneto in parte resiste la consuetudine
delle cante popolari dell'Avvento e dell'Epifania. La Pastorèla
viene cantata dai ragazzi di casa in casa una settimana prima del
Natale, la Ciarastèla è cantata e suonata dagli adulti e
preceduta da figuranti nel periodo che va dal Natale all'Epifania.
Quest'ultima tradizione è comune nella Venetia et Histria - nel
territorio che comprende parte della Lombardia, il Trentino, il Veneto,
il Friuli, Trieste e l'Istria - ed in alcune valli austriache. Ho
riportato una bibliografia di base sull'argomento nelle mie precedenti
lettere del dicembre 2000 e del febbraio 2001, che si potranno trovare
nel sito di Europa Veneta di prossima pubblicazione.
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