Emigrazione |
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Nell'ottobre
del 1866 il Veneto venne annesso al Regno d'Italia di Vittorio Emanuele II
di Savoia, dopo un plebiscito truffa svoltosi con modalitá da regime
e senza il ricorso al suffragio universale, come era stato previsto dalle
potenze europee, alle quali - secondo i trattati di pace - sarebbe spettato
un ruolo di garanti internazionali. Come per la gran parte degli altri territori
annessi al Regno sabaudo, le condizioni socio-economiche dei ceti popolari
crollarono a livelli di miseria e di disperazione mai conosciuti in precedenza,
specie a partire dal 1868, quando il governo italiano decise di imporre una
scellerata tassa sul macinato, ovvero una tassa sul grano portato al mulino.
Tribolazioni e vessazioni spinsero intere famiglie ad emigrare in Merica
(soprattutto in America Latina) animate dalla speranza di trovare una sorte
migliore. Purtroppo chi riusciva a superare le terribili traversate oceaniche
si trovava di fronte ad una situazione desolante. I nostri nonni, infatti,
sostituirono gli schiavi in lavori disumani e nel contempo dovettero difendersi
da malattie, un clima diverso, ambienti fisici spesso ostili abitati da animali
pericolosi.
Negli anni della prima grande migrathion (1880-1930) si calcola
che partirono dapprima circa 50.000 persone all'anno, poi il loro numero crebbe
in maniera esponenziale, comportando il completo abbandono di paesi e cittadine
rurali. Il fenomeno migratorio che investí la nostra terra fu altresí
complesso in quanto flussi di minor entitá si diressero in Europa,
in America del Nord o in Australia e negli anni sessanta nelle vicine regioni
d'Italia - ad esempio, in Piemonte, in Valle D'Aosta, in Lombardia, ecc.
Una straordinaria forza morale ed intellettuale, manifestatasi sin dai tempi
antichi, ha permesso al nostro popolo di risalire la china pur dopo immani
sofferenze ed umiliazioni di ogni tipo, di inserirsi nelle nuove realtá,
di stabilire un rapporto rispettoso con culture estranee, e a tanti di occupare
posti di prestigio; nonostante ció si é saputo conservare l'identitá
e la lingua veneta.
L'attitudine dei Veneti ad impegnarsi nel lavoro venne sfruttata successivamente
dal regime fascista, che tra il 1920-1930 costrinse numerosi gruppi a spostarsi
ancora una volta in Italia ed in Africa (nell'Impero!) per attuare campagne
di bonifica di paludi malariche. Le relazioni dell'epoca descrivevano i nostri
contadini persone tranquille, forti, laboriose ed intelligenti,
i quali trasformarono zone deserte e malsane in fertili pianure. Littoria,
oggi Latina nel Lazio, Mussolinia, oggi Arborea in Sardegna, nacquero da tale
prodigiosa opera.
Negli ultimi trent'anni i Veneti spontaneamente e quindi senza l'aiuto di
nessuno, neppure dello Stato italiano, hanno realizzato un miracolo economico
con un modello di sviluppo atipico, basato su di una imprenditoria diffusa
sul territorio costituita da piccole e medie aziende, che i mass media definiscono
impresa all'ombra del campanile. Il tasso di occupazione nel Veneto é
diventato cosí alto da far invidia alle zone piú industrializzate
d'Europa e del mondo e finalmente sembra finita l'epoca della nostra diaspora;
al contrario si assiste ad una massiccia immigrazioni di genti diverse, provenienti
da zone sfortunate e poverissime del pianeta: dall'Africa, dall'Asia, dalla
Cina, ecc. Sarebbe un grande atto di giustizia dare la possibilitá
innanzi tutto agli emigrati veneti, in particolare a quelli che vivono nell'indigenza
(vedi recente crisi economica dell'America Latina), di ritornare nella loro
nazione d'origine, dove oggi si vive bene. Nulla, comunque, dovrebbe essere
lasciato al caso, preparando gli esuli ad un rientro basato sulla consapevolezza
che la fortuna dei Veneti era ed é affidata alle nostre braccia, creativitá
ed ingegno.
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Due testimonianze significative |
Sul doloroso fenomeno dell'emigrazione veneta verificatasi tra
Ottocento e Novecento esiste una vasta bibliografia, la cui parte piú
consistente é rappresentata dalle testimonianze dirette dei nostri
compatrioti. Cronache, diari e lettere - a volte di grande valore narrativo
- venivano dettate in genere ad uno scrivano, poiché la quasi totalitá
degli emigranti erano contadini, portatori di una cultura orale. Questi testi
trasmettono intense emozioni, specialmente quando si tingono di un pizzico
di ottimismo finalizzato a non preoccupare i familiari e a mantenere viva
negli amici e nei conoscenti un'immagine dignitosa di se stessi. Tra le tante
missive - tutte meritevoli di attenzione - ne abbiamo scelte due del primo
periodo, in quanto veri reportage realizzati da un sacerdote e
da uno scrittore; per ovvi motivi di spazio le trascriviamo a stralci.
Lettera di Don Domenico Munari (Porto Alegre, Rio Grando Do
Sul, Brasile, 21 ottobre 1877)
...Dopo la mia disgraziata partenza ed il mio naufragio
sulle coste di Francia...io ebbi il coraggio e la temeritá di azzardarmi
alla seconda prova del passaggio dell'Atlantico, e il 18 aprile 1877 salii
in Havree a bordo del piroscafo detto Portena, che addi 10 maggio (giorno
dell'Ascensione di N. Signore) dopo 3 giorni di dimora fatta tra Lisbona e
Santa Croce delle Canarie, felicemente mi fece toccar terra a Rio de Janeiro.
Ivi mi fermai un 12 giorni; ma visto che ivi andava in giro la Secca, che
colla falce della febbre gialla minacciava di mandarmi ad ingrassare le rape
al becchino, me la diedi a gambe, ossia montai in un vapore e via fino a Rio
Grande de Sul; rientrai per il canale di Porto Alegre e fui spedito alla cura
di Conde d'Eu, colonia italiana di 4000 e piú anime.
...quante angustie e privazioni devono sostenere (gli emigrati) e quanti sacrifici
devono fare per stabilirsi dentro una selva selvaggia, aspra e forte! La maggior
parte maledice il giorno che fu scoperta l'America, maledicono lo scopritore,
l'emigrazione, ed il giorno della loro partenza per queste parti e desidererebbero
essere miseri e nudi in patria piuttosto di vedersi privi di ogni cosa in
mezzo a queste antiche selve, senza speranza di rimpatrio, e con poca speranza
d'essere provvisti del necessario. Io che vidi come sono trattati i coloni,
posso giurare che miserie uguali non ne ho piú viste. Ma chi mi crederá?
Tanti fra questi miserabili quando scrivono per timore che le lettere non
pervengano in mano alle proprie famiglie (perché lo Czar delle colonie
le vuole tutte in mano per consegnarle alla lontanissima Posta), scrivono
bene; ma questo bene io non lo ho mai potuto vedere. Ed in vero come potranno
chiamarsi beati? In mezzo ad una selva, dapprima senza un tetto e poi in una
capanna peggiore della rinomata e santissima di Betlemme, fatta la maggior
parte di canne, dove l'aria e l'acqua tengono sempre il loro dominio. Una
capanna dista dall'altra ora un mezzo chilometro, ora 2 e mezzo. Mentre scrivo
i coloni devono portarsi alla propria colonia, ove trovano bosco, bosco e
bosco. Dieci giorni solo di vitto vengono loro somministrati e poi nulla,
nulla e nulla. Una volta era loro pagata la casa con 105 fiorini, ora cambiasi
la maschera e soli 25 fiorini (quando Dio lo vuole) vengono loro concessi,
e questi fiorini qui equivalgono non a 25 franchi dei nostri, ma a mezzi venticinque
franchi e meno. Veritatem dico et in Domine illi non mentior. Veramente in
questo pasticcio non c'entra il governo del Brasile, perché da lui
sarebbe disposto ben altrimenti; ma questi cannibali che soprintendono le
colonie sono gli Czar e le Arpie, che spillano dalla miseria le ultime stille,
onde farsi ricchi e lussureggiare in ogni maniera. Avvertiva il Governo giá
da un anno esser chiusa l'emigrazione, ma chi ascolta lui e chi ascolta me!
Oh poveri ciechi e poveri miserabili nati ad essere o a divenire piú
miserabili!...Veniamo ancora ad altre cose dell'emigrazione. ...Quando poi
la terra avesse a dare anche abbondante frutto, il colono non potrebbe pagare
al Governo il prezzo della terra stessa, per la mancanza assoluta di commercio,
essendo le Colonie lontanissime dai punti commerciali ed avendo strade cosí
perfide, da non poter esser quasi praticate dai muli. Onde avviene che in
mezzo alle miserie ed angustie si prepara forse
un pane, e si prepara certo un grosso debito, cui difficilmente potrá
pagare al tempo. Per il riguardo allo spirituale é cosa pessima in
tutto. La Religione che professano gli Americani in Rio Grande de Sul é
precisamente nullitá di ogni Religione; sono Framassoni, ma non sanno
il significato di questa parola, sono cattolici ma avviene che non conoscono
gran fatto cosa sia Cristianesimo; sono Protestanti senza sapere cosa é
la protesta. Infatti sono indifferenti per la Religione; ed amano le donne
ed il denaro e nulla piú...dunque al corpo quanto allo spirito stanno
male i coloni, ed infelici coloro che si azzardano ad emigrare per ora. Potrei
aggiungere riprove a tutto questo; ma questo per ora deve bastare...
Don Domenico Munari - da dodici anni parroco di Fastro - decise
di seguire la sorte dei suoi parrocchiani; il 27 dicembre del 1876 si imbarcó
con 275 contadini bellunesi, feltrini e valsuganotti da Bordeaux per una spedizione
oltreoceano. Scampati a stento da un naufragio gli emigranti veneti proseguirono
il viaggio nell'aprile seguente. Il sacerdote bellunese morí nella
colonia di Donna Izabel nel 1878 (oggi Municipio di Bento Goncalves).
Da Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle
lettere dei contadini veneti in America Latina 1876-1902 Emilio Franzina
Ed. Feltrinelli 1979
Lettera di Domenico Pittarini (Argentina - 1889)
...Adesso vorrei descriverti la vita a bordo dell'infima
classe, ma la penna rifugge dal prestarvisi. Le sono cose che si provano,
ma non si dicono, per non richiamare alla mente di chi ne fu parte una miseria
infinita e per non destare commozioni troppo vive nei cuori facili alla compassione.
Ai ricchi viaggianti in prima e seconda classe la poesia del mare: soltanto
ad essi, che sono al coperto delle intemperie, che bevono in fresco, che dormono
su letti soffici, rispettati, ben serviti e meglio pasciuti. Agli infelici
di terza la prosa di contatti schifosi, di scene rivoltanti, di disprezzi,
di umiliazioni, di privazioni, di non curanze, fatte di tutto il corteo lagrimevole
della miseria... . A 18 chilometri da Buenos-Aires, in un punto cosí
detto la Barra, non potendo inoltrarsi sino alla Boca a cagione della bassa
marea, il piroscafo ancoró due giorni. Un pampero violento accompagnato
da una pioggia fitta e sottile sommoveva le onde in modo da far terrore; non
c'era caso di poter scendere dalle imbarcazioni. Finalmente un'ora avanti
il calar del sole del giorno 14 agosto i viaggiatori di prima e seconda classe
vennero trasbordati in un vaporetto, e tutto il basso bestiame di terza, con
casse e cassoni venne inghiottito in un gran barcone, che per quanto capace
era insufficiente al bisogno....Fortuna volle che il cielo si rasserenasse,
ma un vento freddissimo tagliava il viso e le orecchie, ed io, tutto inzuppato,
batteva i denti che era una meraviglia. Arrivato a Buenos Aires a notte fatta,
insieme a due amici di bordo andammo a cenare e a dormire in una fonda in
vicinanza dell'ufficio d'immigrazione... Il suolo del territorio azuleno sarebbe
fertile quanto i migliori della repubblica se piovesse a suo tempo. ...Mentre
rimasi all'Azul mia diletta ed unica occupazione era la caccia. Ogni qual
volta io usciva, mio nipote non cessava di raccomandarmi che non mi inoltrassi
troppo nel campo, che evitassi l'incontro dei gauci, che fuggissi dalle vacche,
che mi guardassi dai rettili velenosi, che mi rimettessi a casa prima dell'imbrunire,
ecc. ecc. E a dir il vero non mi sono mai dilungato piú di 10 chilometri.
...Talora non volevo prestar fede a me stesso di trovarmi a dodicimila chilometri
circa dalla mia patria, pensava ai parenti, agli amici che tanto mi amarono
e mi compatirono tanto, e piangeva maledicendo il passo sconsiderato superiore
alle mie povere forze. Poscia, vinto dalla stanchezza, mi sdraiavo in grembo
a quell'oceano di terra e, con gli occhi socchiusi, al confuso e lontano belato
delle pecore, al canto malinconico d'uccelli ignoti e a rumori indefinibili
di mille specie dei quali l'immaginazione sconvolta popolava il deserto, mi
pareva di trovarmi a bordo, di udire il suono monotono della macchina e quello
del mare in burrasca che sbattacchiasse il Perseo. Mi scuoteva atterrito;
quella memoria tanto mi veniva cara.
Domenico Pittarini nacque ad Ancignano di Sandrigo (Vi) nel
1829, compí gli studi ginnasiali a Bassano del Grappa e si laureó
in farmacia all'Universitá di Padova. Membro del Comitato Liberale
Vicentino venne arrestato nel 1859 dalle autoritá austriache.
Ritornato libero trovó lavoro prima in una farmacia a S. Pietro in
Gú (Padova) e poi a Fara Vicentino. In seguito ad un tracollo economico,
dovuto essenzialmente ad una non comune generositá profusa anche ai
suoi debitori, partí per l'Argentina nel 1888 dove morirá fra
molti stenti nel 1902.
E' considerato l'ultimo grande poeta e commediografo della letteratura pavana,
un genere letterario che vanta una tradizione ininterrotta dal 1300 al 1900
e fa uso della lingua veneta in una variante rustica. La sua opera piú
nota é La politica dei villani, vivace commedia in due
atti scritta nel 1868, dalla quale emerge l'avversitá - espressa con
umorismo - dei nostri contadini all'annessione del Veneto all'Italia. Imparata
a memoria per generazioni veniva recitata nei filó (veglie nelle stalle)
ed alcuni versi furono tanto famosi da essere usati a mo' di proverbio. La
commedia in un atto unico Le elezioni comunali in villa descrive,
invece, con l'aiuto di dialoghi tragicomici di contadini veneti i brogli elettorali
accaduti dopo il 1866, con l'avvento dell'unitá d'Italia. Notevoli
sono le poesie, sempre in lingua veneta, dal titolo: Poesie rustiche.
Pittarini collaboró con i giornali Il Summano, L'Iride
ed El Visentin.
Da Notizie dall'Argentina di Domenico Pittarini
- Ed. Grafiche Tassotti - Bassano del Grappa 2001
Mariarosaria Stellin
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Gemellaggio tra Grupo Veneto Carabobo A.C ed Europa Veneta |
Il 13 dicembre 2002 abbiamo dato vita ad un gemellaggio tra Europa Veneta ed
il Grupo Veneto Carabobo A. C....una organizacion con caracter Civil,
con domicilio en Valencia, Estado Carabobo, sin fines de lucro, sin distincion
de raza, credo politico y religioso.... Il grupo venezuelano é
sorto ufficialmente nel Duemila, per merito degli eredi del veneziano Antonio
Carli e sta raccogliendo attorno a sé altri emigrati veneti desiderosi
di mantenere vivo il ricordo e le tradizioni della patria dorigine.
Larticolo 2 del loro Statuto recita:
Son fines de la Asociacion
-
Conservar y tutelar el valor de la identidad veneta
y resaltar los aportes de la region a los ciudadanos de origen veneto y
sus familiares.
- Reforzar las relaciones de los ciudadanos venetos y sus familiares residentes
en el Estado Carabobo, Venezuela, ecc...
E, inoltre, previsto (al punto D dello stesso articolo) di poter rivolgere
alla Regione Veneto eventuali richeste di collaborazione qualora i soci assieme
alle famiglie decidessero il rimpatrio.
Alberto Durer Bacchetti - nostro ambasciatore e membro del Consiglio Direttivo/Banca
di E.V. - ha consegnato al Dr. Gianfranco Carli - Presidente del G.V.C.
- la bandiera di S. Marco, poi un leone marciano in moleca ed una pergamena
scritta in lingua veneta attestante lavvenimento. Purtroppo proprio
in quei giorni scoppiava in Venezuela una grave emergenza politica, riferita
dagli organi dinformazione del mondo, costringendo Alberto ad un movimentato
rientro.
Certi di realizzare tra le due associazioni un proficuo scambio di relazioni
umane e scientifiche auspichiamo che quel lontano Paese torni presto alla
normalitá.
Mariarosaria Stellin
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