di Edoardo Rubini, 13 dicembre 2004
… il “date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio
quel che è di Dio” non è solo una garanzia di
purezza, ma diviene anche la premessa per un nuovo patto: l’uomo
resti fedele a Dio e da questa fedeltà nascerà un potere
rispettoso di entrambi.
Vorrei tentare di spiegare in termini originali, ma semplici, il
rapporto tra poteri temporale e spirituale nella storia veneta;
l’insegnamento lasciatoci da Paolo Sarpi assume particolare
rilievo in questi giorni, in cui vediamo riaprirsi di continuo la
questione della laicità dello Stato; eppure, con la formuletta
cavouriana “libera chiesa in libero stato” il potere non
aveva trovato l’uovo di colombo?
Oggi viviamo in una società scristianizzata: il potere si fonda
su logiche materialistiche, che hanno concepito come fondamento di
tutte le decisioni politiche la presupposta volontà popolare.
Per i critici dell’Illuminismo quest’assunto rappresenta
una fatale illusione.
Appare evidente a tutti che la massa dei governati è incapace in
larghissima parte di esprimere convinzioni ponderate e consapevoli
persino sugli aspetti essenziali della vita pubblica. Anche quando la
gente esprime convinzioni, si basa comunque su conoscenze frammentarie
che ha orecchiato dai mass-media, pilotati di regola da esigue
minoranze.
Il sistema politico cosiddetto liberal-democratico costituisce il
grande fallimento nell’agenda della storia. E lo è stato
sin dal suo primo manifestarsi in Francia nel 1789 (anzi, volendo
sfatare il grande mito, anche negli USA nel 1776). A partire dal
Settecento la centralità della Fede religiosa è stata
sostituita non dalla pretesa “Ragione umana” ma, alla fin
fine, dall’idolatria di Stato: così l’intero mondo
occidentale si è dissolto nei suoi fondamenti spirituali ed
esistenziali.
Questo fenomeno, esploso già con la Rivoluzione Francese,
è poi arrivato al parossismo con le dittature di destra e di
sinistra, permanendo immutato nella sua sostanza anche in quel sistema
politico che presso le odierne Facoltà di Giurisprudenza
è presentato come “perfetto”: lo Stato
liberal-democratico.
Le elaborazioni teoriche degli Illuministi, tradotte in apparato
istituzionale con l’avvento della Rivoluzione Francese e sparse
ovunque dall’espansionismo napoleonico hanno dato corpo ad un
unico processo; la costruzione dello Stato senza religione fu il
passaggio obbligato per eliminare Dio dalla società.
Destinazione finale: via il senso del sacro dall’essere umano.
L'uomo deve diventare schiavo, quindi va equiparato all'animale.
Gli antichi avevano preconizzato con largo anticipo (in primis il
patriziato veneziano con il N.H. Vettor Sandi, tanto per fare un nome)
ciò che poi avvenne: rimasto senza la protezione di Dio,
l’uomo sarebbe caduto preda del male.
Oggi sentiamo tutti proclamare il gran progresso di aver “
laicizzato” società e Stato, ma non si è riflettuto abbastanza sulle conseguenze di questo fenomeno.
A questo proposito si può ricordare che sin dai tempi
preistorici l’uomo ha ricercato il fondamento sacro ed
inviolabile della propria vita e della vita comunitaria in una
dimensione trascendente, ben sapendo che nella realtà immanente
non avrebbe trovato la propria realizzazione.
I popoli, già all’apparire dell’organizzazione
sociale all’alba dei tempi, erano animati da un forte senso
religioso. Il loro rapporto con la natura e la stessa dinamica sociale
sono sempre guidate dall’ispirazione metafisica.
L’organizzazione sociale, quindi le attività politica e
giuridica, trovavano il loro essenziale fondamento nella religione.
Quando cominciarono a formarsi gruppi nazionali nella protostoria, alla
Divinità era affidato il compito di cementare
l’unità della sfera collettiva.
Con Nostro Signore è successo qualcosa di particolare.
Interrogato sul motivo per cui non negasse il tributo ai Romani, il
Messia rispose che riteneva di assolvere il dovere verso Dio senza
pregiudicare quello verso l’imperatore.
Parrebbe evidente che Gesù Cristo abbia voluto preservare in
questo modo la purezza della Fede evitandone un’identificazione
totale con il potere temporale, forse nella Sua onniscienza già
sapendo che con l’andar dei secoli quest’ultimo si sarebbe
sempre più corrotto.
Specificando meglio, va ricordato che ogni potere discende da Dio,
dunque il potere politico non è mai dissociabile dalla
legittimazione divina; ma se per caso questa dissociazione in pratica
si compie, che cosa accade? In quel caso che rapporto si forma
tra Dio, il potere e l’uomo?
Ecco che il “date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio
quel che è di Dio” non è solo una garanzia di
purezza, ma diviene anche la premessa per un nuovo patto: l’uomo
resti fedele a Dio e da questa fedeltà nascerà un potere
rispettoso di entrambi.
Se poniamo attenzione alla confusione introdotta dai giacobini, vediamo
quanto poco è stato compreso questo insegnamento. Jean Daniel ha
dichiarato su “La Repubblica” del 3 dicembre 2004 che i
Cattolici non potrebbero accusare i laicisti di aver introdotto un
sistema autoritario di tipo universalistico, dal momento che i primi ad
avere introdotto l’universalismo sarebbero i Cristiani.
Di qui si vede che i laicisti non hanno capito nulla (ma ad avere le idee confuse sono oggi anche tanti Cristiani).
Lo spirito della Pentecoste, infatti, comporta la diffusione del
messaggio evangelico rispettando (e non prevaricando, né
omogeneizzando) le differenze etniche, linguistiche, culturali, che
costituiscono l’ordine della Creazione. Quindi,
l’evangelizzazione non nega, ma presuppone le diverse
identità etniche. Possiamo tranquillamente affermare che
anche i popoli sono creature di Dio e l’Annuncio di Cristo fa
risaltare le specificità di ciascuno ponendole in una nuova luce
positiva.
Questo è l’opposto di quanto agognato dalla Rivoluzione
con tutti i suoi culti malefici: nella “Repubblica
Universale” dei liberali tutto il mondo sarà omogeneizzato
all’insegna del Male. Tutto sarà divorato da una
fame insaziabile, l’uomo retrocederà allo stadio
ferino. Napoleone, Mussolini o Stalin hanno perseguito tale
disegno mondialista ed universalizzante, che non c’entra nulla
con il Cristianesimo.
Di qui nasce pure l’odierna baggianata detta “scontro di
Civiltà”: in realtà, la globalizzazione mira a
distruggere tutte le società religiose, dopo aver alimentato uno
scontro fasullo di una religione o di una civiltà contro
l’altra. Ma a scontrarsi non sono mai le religioni in quanto
tali, quanto invece gli interessi politici.
Così è stato di regola anche nella storia europea: se per
guerre di religione s’intende uno scontro tra gruppi religiosi,
possiamo affermare che, almeno in Occidente, non se n’è
combattuta neppure una.
Non erano mai le comunità popolari ad essere in radicale conflitto tra loro, salvo episodi locali minori ed irrilevanti.
A muovere le forti aggressioni armate, infatti, furono i gruppi di potere, che in virtù del principio “
cuius regio, eius religio” pretendevano di sradicare con la forza il credo del popolo e di imporre
manu militari le proprie opzioni in materia religiosa.
Il rafforzamento della struttura dello Stato che si ebbe intorno al
Cinquecento mise in grado i reggitori di certi governi di
strumentalizzare la religione: in tali casi, questa - da patrimonio
culturale appartenente al popolo - passò ad essere un “
instrumentum regni”.
Un fenomeno simile in età classica si poté riscontrare
presso fonti di potere brutalmente autoritarie. E’ il caso degli
Imperatori romani, che non si accontentavano di un’obbedienza
assoluta da sudditi e milizia, ma pretendevano di essere venerati come
divinità: quest’idolatria senza Fede portò,
infatti, a violenze simili alle c.d. “guerre di religione”
seicentesche (e all’idolatria del potere tipica del Novecento:
cosa sono state le guerre mondiali se non un enorme sacrificio umano
sull’altare dell’ideologia di Stato?).
Eloquente la storia di San Maurizio. Egli era il comandante
d’origine egiziana della “legione tebana” stanziata
tra il 286 ed il 293 ad est del lago di Ginevra, ove fu martire.
Di fronte all’ordine di adorare l’Imperatore Massimiano e
di tributargli sacrifici, Maurizio e la truppa, già cristiani,
opposero un deciso rifiuto. Per ordine di Roma, l’uno fu
trucidato, gli altri decimati. L’episodio mette in luce le
ragioni che obbligano a tenere la Fede al centro della vita sociale e
che al tempo stesso vietano di mettere il potere politico al di sopra
di essa, sconsigliando di confondere del tutto politica e Fede.
In sintesi, con l’avanzare dell’Età Moderna dopo il
Rinascimento, il rapporto tra potere spirituale e temporale divenne
materia delicatissima, in quanto Stato-Società-Chiesa formavano
un insieme inestricabile. Per questa ragione era necessario elaborare
raffinate distinzioni dei rispettivi ambiti di competenza.
Negli Stati moderni tale problema non si pone più, non
perché questi siano “democratici”, ma perché
sono totalitari. Un tempo, lo Stato era lo specchio della
società vivente, mentre oggi esso costituisce una struttura a
sé, dotata di legittimazione che prescinde dalla struttura
sociale sottostante (il popolo) e da quel che resta della sua
identità.
Questa legittimazione è detta
liberalismo:
il compito dello stato liberale, come teorizzato nelle società
di pensiero e nelle logge massoniche, è liberare l’uomo da
Dio, cioè svincolarlo dai suoi limiti di natura.
Così, l’uomo viene ad essere libero perché senza
Dio, perché non ha limite, perché non riconosce nessun
ordine morale superiore a sé.
Se si leggono le opere dei filosofi francesi portatori dei Lumi, si
trova già bell’e pronto il programma ideologico ancor oggi
in piena fase attuativa, essendo all’ordine del giorno di tutti
gli stati liberali. Primo comandamento: abolire il passato. La
Civiltà Cattolica, fondamento culturale di tutta Europa, va
eliminata. Da oggi la ribattezzeremo “oscurantismo”:
il Medioevo, età del massimo fervore religioso, dovrà
essere visto come tirannide e superstizione. Si creerà la
Leggenda Nera, la nuova vulgata storica spacciata alla scuola di stato
grazie alla quale s’indurranno le masse a credere che la Chiesa
di Cristo sia sempre stata il principale ostacolo alla felicità
umana.
In coerenza con questo, avanti tutta con divorzio, aborto, eutanasia,
omosessualità, indifferentismo religioso, superamento
dell’identità etnica, poi abolizione delle
sovranità nazionali, immigrazione di massa, creazione di
un’umanità destrutturata nei suoi elementi costituitivi,
quali la famiglia e la comunità d’appartenenza, in favore
di un Nuovo Ordine Mondiale che vedrà lo sterminato gregge
anonimo di eguali dominato dalla casta onnipotente, segreta ed
onnipresente degli iniziati.
Attenzione. Fu proprio l’ideologia egualitaria
d’ascendenza giacobina a rompere l’unità
Stato-Società-Chiesa e a determinare lo
“scollamento” tra società (in precedenza
stratificata in classi) e Stato (ormai chiuso in se stesso).
La Repubblica Serenissima era cristiana e cattolica, né avrebbe potuto essere altrimenti.
I Veneti erano religiosissimi già dai tempi pagani: era allora
inconcepibile fondare il potere politico su un’idea diversa da
quella divina.
Dopo la conversione al Cristianesimo, processo che ebbe il suo culmine
allo scadere del III secolo, i nostri progenitori applicarono lo
spirito evangelico con coerenza e rigore persino maggiori della stessa
Roma. Ciò consentì loro di edificare uno Stato
“perfetto” solo proiettandolo nella Fede, seguendo l'ideale
di una Nuova Gerusalemme faro della Civiltà Europea.
Lo stesso Patriziato vedeva infatti lo Stato e i suoi uomini come
qualcosa di materiale, di terreno, quindi di imperfetto (uomo =
peccatore). Ogni cosa doveva richiamarsi ad una dimensione ultraterrena
per legittimarsi: Dio era l’anima della Nazione, ancor prima che
degli individui. Di qui: San Marco.
Con l’andar del tempo maturò un sistema capace di evitare
che un centro di potere esterno, come Roma, condizionasse i propri
affari interni: intorno al Duecento cominciò a precludere ai
religiosi la partecipazione alla vita politica, obbligò i
patrizi (e i loro familiari) beneficiari di diritti ecclesiastici ad
astenersi nelle deliberazioni degli organi pubblici (in materia di
affari concernenti la Chiesa), infine allo scadere del Cinquecento
nacque un diverbio insanabile sulla gestione della repressione
antiereticale, per finire con le crisi internazionali seguite agli
“
Interdetti”.
I conflitti politici che ne seguirono si spiegano proprio in questi
termini. Paolo Sarpi può considerarsi l’assertore di
concezioni che Venezia aveva praticato da secoli, mentre lo Stato
Pontificio talvolta abusava del proprio potere spirituale per fare i
propri interessi d’ordine temporale. In varie occasioni (tutte di
natura politica) il Soglio Pontificio lanciò scomuniche
generali, i cosiddetti Interdetti, contro la Veneta Nazione, nei casi
più recenti e clamorosi per evitare che Ferrara entrasse
sua sponte a far parte dello Serenissima.
Si badi che la Repubblica Serenissima seguiva con scrupolo la dottrina
come definita teologicamente a Roma, ma viveva la religione come un
fatto nazionale proprio, in una sorta di armonia così definita:
Stato veneto - Chiesa veneta - Popolo veneto.
Nel D
iscorso dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e dominio di Venezia Paolo Sarpi spiega come i Veneti intendevano il principio di laicità: «
Tra
le perverse opinioni, de’ quali abbonda il nostro secolo
infelice, questa ancora è predicata, che la cura della Religione
non appartenga al Principe, qual è colorata con due
pretesti. L’uno, che per esser cosa spirituale, e divina,
non s’aspetti all’autorità temporale.
L’altro, perché il Principe, occupato in maggiori cose,
non può attendere a questi affari. E’ certo degna di
maraviglia la mutazione, che il mondo ha fatto. Altre volte li
santi Vescovi niuna cosa più predicavano, e raccomandavano ai
Principi, che la cura della Religione. Di niuna cosa più
li ammonivano, che del trascurarla. E adesso niuna cosa
più si predica, e persuade al Principe, se non che a lui non si
aspetta la cura delle Cose Divine, con tutto che pel contrario la
Scrittura Sacra sia piena di luoghi dove la Religione è
raccomandata alla protezione del Principe dalla Maestà Divina, la qual anco promette tranquillità, e prosperità a quei Stati, dove la Pietà è favorita, si come minaccia desolazione, e distruzione, a quei governi dove le cose divine son tenute come aliene»…«
La
vera Religione essendo fondamento dei Governi, sarebbe grande
assurdità… il lasciarne cura totale ad altri, sotto
pretesto che sono [cose] spirituali, dove la temporale autorità
non arriva, ovvero che il Principe abbia maggior occupazione che di
questa. Chiara cosa è, che siccome il Principe non
è Pretore, né Prefetto, né Provveditore:
così parimente non è Sacerdote, né Inquisitore, ma
è ben anco certo che la cura sua è di sovrintendere, e
procurar che sia fatto il debito, così da questi, come da
quelli: e qui sta l’inganno, chè la cura particolare della
Religione è propria delli Ministri della chiesa, siccome il
governo temporale è proprio del Magistrato, ed al Principe non
conviene esercitar per se medesimo né l’uno né
l’altro, ma indirizzar tutti, e lo star attento, perché
niuno manchi all’Uffizio suo, e rimediare alli difetti delli
Ministri: questa è la cura del Principe così in materia
di Religione, come in qualsivoglia altra parte del Governo».
Il ragionamento di fra Paolo è limpido e lineare: la Serenissima
si identifica con la Fede Cattolica, quindi è competente a
difenderla, nei modi e nelle occasioni in cui ciò è utile
alla collettività.
L’unico limite nell’adottare oggi l’impostazione
sarpiana è dato dal fatto che mentre ieri i reggitori dello
Stato erano fortemente devoti a Cristo vivendo un’intensa vita
spirituale in osservanza dell’intera dottrina cattolica,
sicché chi se ne distaccasse era subito messo da parte, la
nostra attuale spiritualità è spesso di miseranda
condizione e presupporrebbe una lunga e dolorosa strada di conversione
prima di farci meritare qualsiasi voce in capitolo.
Alla luce di quanto visto,
non si può pensare ad una Repubblica Veneta laica nel senso moderno
(oggi vige il principio politico detto “laicismo”, che
proibisce allo Stato di aderire in via ufficiale alla religione storica
del popolo). La Repubblica di San Marco mantenne sempre la sua indole
di Stato confessionale, fino a rivendicare una cattolicità
persino più coerente di quanto praticato dalla Chiesa romana.
Tuttavia, la Serenissima fu al tempo stesso
antesignana di una sana laicità, il cui modello resta ineguagliato.
Edoardo Rubini
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