La
Festa del Redentore ricorda ogni anno ai Veneziani il flagello della
peste che dal 1575 al 1577 provocò oltre 45.000 vittime in meno
di 2 anni, tra cui forse quella di Tiziano.
Sull’origine del morbo, che aveva già devastato
l’Europa e lo Stato Veneto nel 1348 (la famosa “peste
nera”), c’erano diverse teorie, la Serenissima, tuttavia,
aveva acquisito la certezza che la malattia fosse contagiosa. I
Provveditori alla Sanità, costituiti nel 1486, effettuarono,
oltre ad energiche misure coercitive e moderne funzioni di prevenzione,
interventi per limitarne la diffusione, vietando l’ingresso in
città a chi provenisse da luoghi infetti ed inviando le persone
colpite, o sospettate di aver contratto il morbo, in luoghi appositi.
Questi centri di ricovero erano situati in due diverse isole lagunari:
il Lazzaretto Vecchio dal 1423 (deformazione dal nome della chiesa
dedicata a Santa Maria di Nazareth) ed il Lazzaretto Novo entrato in
funzione nel 1471. L’organizzazione sanitaria, nonostante errori
ed esitazioni, si dimostrerà più tempestiva ed efficiente
di quella degli altri stati europei. Scrive in proposito lo studioso
R.J. Palmer: “Le misure pur non essendo fondate su una completa
comprensione della malattia… erano straordinariamente
appropriate allo scopo”. Tra le più efficaci si ricordano,
oltre alle quarantene nei lazzaretti (termine e funzione che si diffuse
in tutto il mondo), le maschere a protezione delle vie respiratorie
indossate dai medici (una sorta di DPI antilitteram), la calcinazione
dei cadaveri in fosse comuni, l’evacuazione delle case degli
appestati, le quali erano poi fumigate con zolfo, mirra e pece.
Visto che questi ed altri interventi avevano scarsissimi risultati, il
Senato Veneto fece voto al Cristo redentore di edificare una nuova
chiesa, quale segno di “umiltà supplicata”,
affinché mettesse fine alla pestilenza, con promessa solenne di
ringraziamento perpetuo nella ricorrenza della salvezza di Venezia dal
contagio. Il 4 settembre 1576, infatti, il Senato avvertendo la
peste come una percossa di Dio così si esprimeva:
“Da cuelo ke
se lexe nela Sacra Scrittura come nell‘istoria de le cose
pasate, se conose chiaramente ke cuando la Maestà de Dio
flagella publicamente un popolo, non si placa prima ke non sia
publicamente con segno d’umiltà suplicata”.
Solo dopo il 21 luglio 1578, accertata la fine
della pestilenza, la Serenissima decretò che ogni terza domenica
di tal mese fosse in perpetuo destinata alla visita del nuovo tempio.
Nel frattempo per ringraziare il Redentore fu allestita in pochi giorni
una chiesa provvisoria in legno abbellita con frasche, dorature,
arazzi, spalliere d’oro, d’argento, seta e con una immagine
di Gesù. La Piazzetta San Marco fu addobbata con tappeti,
stendardi, festoni, stemmi, ritratti di sedici pontefici e quadri
allegorici della sciagura. Dalla porta della Carta si costruì
una serie di arcate coperte di panni preziosi fino al ponte, allestito
con 80 galere, che dal molo di S. Marco arrivava fino a punta S.
Giovanni alla Giudecca. La Processione fu aperta dal Doge Sebastiano
Venier (vestito in bianco) dai Senatori, dagli Ambasciatori, dai
Procuratori di San Marco, dai Provveditori alla sanità, dalle
Scuole Grandi, dalle Confraternite di Arti e Mestieri e da tutto il
popolo, accompagnati dal rimbombo di tamburi, dagli squilli di trombe e
dallo sventolio di bandiere, stendardi ed arazzi.
Nell’improvvisata chiesa fu celebrata la prima Messa solenne con
Te Deum di ringraziamento al Cristo Redentore, musicata dal celebre
maestro di Cappella Zarlino.
Vista la notevole distanza da collegare, il ponte unico di barche fu
successivamente sostituito da due più corti: uno per
attraversare il Canal Grando (dal Giglio a San Gregorio), l’altro
per passare il canale della Giudecca (dalla Chiesa dello Spirito Santo,
poi abbattuta per edificare la Chiesa della Salute, alla riva del
Redentore). Scriveva lo Stringa nel 1614: “Tanta è la
frequenza di esso popolo che va a rendere gratie a Dio di un tanto
beneficio”. Oggi essendo stato costruito il ponte
dell’Accademia, si installa solo il ponte di galleggianti
attraverso il canale della Giudecca.
Fin dalla fine del Cinquecento la cerimonia, che era un misto di festa,
preghiera e di riti precristiani degli antichi veneti, iniziava la sera
della vigilia. La sera del terzo sabato di luglio si attendeva la
mezzanotte a bordo delle imbarcazioni addobbate con frasche ed
illuminate con palloncini di carta colorata. A bordo erano allestiti
banchetti con anatra arrosto ripiena, sardele e sfogi in saor, pasta e
fagioli, anguria e vino rallegrato da canti e suoni (quelli che poi
sarebbero diventate le famose canzoni da batelo veneziane). Prima della
mezzanotte scoppiavano i famosissimi Fogi de el Redentor, conclusi i
quali era aperto il portone della Chiesa per la messa di
mezzanotte,
quindi le barche vogavano al Lido per assistere alla levata del Sole.
L’attesa era ravvivata da canti e balli attorno ai falò,
oppure sotto al secolare albero detto “Del Diavolo”, che
sorgeva fino a vent’anni fa a San Nicoleto. Il consuetudine di
vogare verso il sole nascente, che sembra aver dato inizio alle regate
(quella del Redentore si svolge ancora oggi la domenica pomeriggio
lungo il canale della Giudecca) sembra un rito legato al ciclo della
vita, di morte e rinascita. Il giorno seguente i frati cappuccini
suonavano, in segno di giubilo, ininterrottamente per tutta la giornata
le campane della chiesa del Redentore. I fedeli durante il
pellegrinaggio, passavano anche nel vicino convento dei cappuccini a
bere l’acqua del pozzo, simile a quella che si prelevava dal
pozzo della vicina chiesa del Santo Spirito e che era ritenuta
miracolosa.
La celebrazione continua a svolgersi ogni anno la terza domenica di
luglio, nonostante lo stravolgimento portato da un turismo sempre
più invadente, inconsapevole e miscredente. La predisposizione
dell’itinerario devozionale (ponte su galleggianti) rappresenta
un preciso richiamo al profeta Isaia, il quale esorta a preparare le
vie del Signore una volta sconfitte le iniquità da Gerusalemme.
A conclusione di questo “traghetto”, si entra
nell’aula del tempio progettato dal Palladio, dove è
celebrato il trionfo di Cristo Redentore che muore per la salvezza
dell’umanità.
Al termine della Messa, con il sole al tramonto, il Patriarca,
dall’alto della scalinata, benedice con il Santissimo la
città, la laguna, il mare e tutti gli abitanti,