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ASCOETA PIFANIA 5-6 Gennaio
Nel calendario cristiano cattolico il 6 gennaio si festeggia
l’Epifania, che è la prima manifestazione della
divinità di Gesù all'intera umanità, rappresentata
dalla visita solenne dei Magi, la loro offerta di doni simbolici e
l'adorazione finale. L'etimologia della parola Befana, corruzione del
tardo latino epiphania e dal greco epipháneia, significa
apparire. In Veneto è chiamata
“Pascoeta”,
che vuol dire preannuncio della Pasqua (si festeggia anche l'onomastico
femminile Pasqua) con allusione alla massima festa del nuovo ciclo
annuale, di cui l'Epifania è la prima rivelazione tangibile del
Figlio di Dio.
Attraverso il mondo visibile (lo splendore del sole, l'armonia degli
astri, la luce delle stelle nel firmamento sconfinato) Dio è
portatore della sua presenza e parla a tutti quelli che sanno
riconoscerne il segno, proprio come nella stella i magi hanno saputo
comprendere l’indizio divino.
Come l’Avvento è il periodo d’attesa per la venuta
del Salvatore, così l’Epifania è un percorso
d’avvicinamento al Dio vivente, che si è manifestato per
la prima volta. Durante questi nove giorni, vari riti e storie
popolari ricordano in maniera semplice quest’avvenimento.
RITI POPOLARI DELL’EPIFANIA
La chiarastella
Trascorso il Natale, fino il giorno dell’Epifania, adulti e
ragazzi formano dei gruppi capeggiati da tre figuranti vestiti da Re
Magi, i quali sostenendo una stella illuminata girano per le case dei
paesi (una volta anche delle città) cantando ła ciarasteła,
ovvero strofe sulla Natività e sugli stessi Magi. Persino i
fuochi d’origine precristiana (descritti più avanti)
accesi in questi giorni, sono stati in parte convertiti in segnali
luminosi indicanti la strada ai Magi verso il piccolo
Gesù.
Storia popolare della Befana
Secondo racconti popolari, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i
doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero
informazioni ad una vecchia. Nonostante le loro insistenze,
affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non
volle uscire da casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non
essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci,
partì da casa, mettendosi a cercarli, senza riuscirci.
Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cammino,
donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di
loro fosse il piccolo Gesù.
ANTICHISSIMI RITI PRECRISTIANI
Il “culto della Befana” è presente in varie parti
del mondo: dall’Europa all’Africa settentrionale. Nella
Befana, che per noi Veneti è la
Marantega (ossia
la Mare antiga), si rintraccia il mito della Dea genitrice primordiale,
signora della vita e della morte, della rigenerazione della natura.
Questa Dea aveva vari nomi secondo i luoghi e delle culture: Reitia per
noi veneti, Epona per i celti, Demetra per i greci, Diana per i romani,
Berchta e Frau Holle per i popoli nord europei. In questo periodo
dell’anno esse portano vari doni, speranza di belle novità
per la nuova stagione. La calza appesa al camino, simbolo del punto di
comunicazione tra cielo e terra, una volta era riempita prevalentemente
di fichi secchi, castagne, patate, mele, noci, ecc., a ricordare le
promesse della terra e da carbone, a memoria del passato. Nella
notte del 5 gennaio (la vigilia dell’originaria data del
solstizio d’inverno) il territorio triveneto ed istriano sono
illuminati e riscaldati dall’accensione di migliaia di
falò/łe foghère. Un altro simile remotissimo culto,
è il lancio di ruote di legno incendiate lungo i pendii dei
monti. Si tratta del “
rito della stella”, anticamente, infatti, le ruote rappresentavano la corsa del sole nel cielo.
Il Panevin o Piroła Paroła
Il grande Berolòn/falò, ammassato su di un palo dritto di
gaxìa/acacia composto di canne di santurco/granoturco, da rami
d’arbusti, siepi, roe/rovi e stoppie dell'inverno, tra le quali -
in tre differenti punti - de
vono
esser sistemati i simboli del raccolto, cioè scartòsi de
panòce/brattee di granturco, fasìne de rami de vida/di
rami di vite e de ła paja/paglia. Al rintocco dell'Ave Maria inizia la
funzione sacra. Una donna canta strofe propiziatorie, poi getta
dell'acqua santa sopra il falò, lo benedice, si sposta
darènte/vicino ai punti dove si trovano i tre simboli appena
ricordati e prega il Signore, sempre ad alta voce. A lei subentra il
bambino o la bambina più piccola della famiglia o del gruppo,
che attizza il falò con della paglia. Arriva, quindi, il turno
degli uomini, quello più anziano (el barba) ha il compito di
pronosticare l'andamento della seguente stagione agraria. In base alla
direzione del vento, delle fałive/faville e del fumo, ricorrendo a modi
di dire, el barba ricava il verdetto.
Se le fałìve va al garbin
parécia el caro par ndar al mułin.
Se łe fałìve va a matina,
tiol su el saco e va a farina.
Se łe fałìve va a sera,
ła połenta inpenjse ła caliera.
Oppure
Pan e vìn
Ła pinsa soto el camin
Fałive a ponente
Panoce gnente
Fałive a łevante
Panoce tante
Fałive verso sera
Połenta a pien caliera
Fałive verso matina
Połenta mołesina
Fałive a mehodì
Połenta oltre al dì
Fun a basa
Połenta a pien casa
Quando, infine, il falò sarà ridotto in cenere,
un’altra donna gli girerà intorno e con un bastone in mano
lo segnerà con tre croci invocando il Signore, quindi, i
presenti calpesteranno la cenere, pronunciando preghiere e frasi
beneauguranti. Il rito termina sempre con vin brulè e pinsa, un
dolce cotto sotto la cenere, cucinato per l’occasione. E’
sorprendente la
di significati simbolici tra questo rito, el
panevìn o
piroła paroła
e quelli praticati anticamente dai Veneti, definiti dalla letteratura
archeologica brandopferplatze o roghi votivi, in uso
dall’Età del Bronzo Recente (XIII secolo A. C. circa). I
Veneti antichi - popolo di origine centroeuropea - furono i primi in
Europa a praticare l'incinerazione dei defunti, seguendo un preciso
rituale. Nel Panevìn ritroviamo la stessa simbologia e richiamo
alla speranza della cultura venetica, con un'impressionante coincidenza
di significati. Il transito dalla vita alla morte, da un anno ad un
altro, lo si festeggiava collettivamente ed il fuoco - attributo del
dio - liberava gli uomini dalle malattie e dalle sventure, caricandoli
di energia positiva; oltre a ciò si praticava la divinazione
attraverso la lettura della forma e del colore del fuoco sacro e del
suo fumo. Il 6 gennaio, infine, arriva la Marantega (Befana) che nei
territori di origine venetica viene anche ricordata con altri
antichissimi nomi. Si segnalano alcuni di questi principali
appellativi: la Beròła (o Veroła) delle lagune venete; la
Ardojea del Bellunese; la Berta e la Gianpa, del Vicentino; la Donasa
di Borca del Cadore; la Redodexa, del corso della Piave; la Rodia
dell’Istria. Si crede che questa stria/strega torni sotto terra
all’arrivo del freddo. A lei si devono i semi infecondi nei
campi, il marciume delle erbe e le malattie delle bestie, è la
dea madre, la terra a fine stagione, perciò viene rappresentata
vecchia ed avizzita. Essa sarà bruciata a metà quaresima
sul
berołòn, dove si trasforma in carbone e cenere, pronta a rinascere nella vicina primavera bellissima, ricca di fiori e frutti.
Fabio Bortoli