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Santi e tradizioni venete

 Łe Rogasiòn

San Marco - Mosaico Nella Basilica di San Marco su disegno di L. Lotto Il termine rogazione trae probabilmente origine dal latino rogatio usato a Roma per indicare una proposta di legge fatta dal popolo, parola usata anche nelle implorazioni fatte agli dei, durante particolari ricorrenze pagane, perché proteggessero le messi dei campi. Forme di questi antichissimi rituali, trasformati, si sono perpetuate nel cristianesimo. A Padova ancora nel 1300, la Rogazione comprendeva ancora parte di questi remoti culti, oltre alla croce, infatti, era presente nella cerimonia anche il simbolo di un dragone raffigurato su uno stendardo. La Rogazione prevedeva che il primo giorno il dragone fosse alla testa della processione e tenesse la coda eretta, poi che nel secondo si trovasse a metà con la coda inclinata e che nel terzo, si ritrovasse alla fine con la coda completamente distesa. Infine, a conclusione del percorso di tutta la processione, il dragone era gettato nelle acque del Bacchiglione. Il dragone rappresentava il diavolo, orgoglioso al primo giorno, umiliato al secondo dalle preghiere dei fedeli, e definitivamente sconfitto nel terzo, grazie all’intercessione di nostro Signore.  Le Rogazioni erano presenti ancora agli inizi del XX secolo, nelle Valli lombarde, nel Triveneto ed in Istria, ed ancor oggi, anche se meno frequentemente, nelle Venezie. Queste celebrazioni erano due: una detta di San Marco che si svolgeva il 25 aprile, ed una seconda principale, che si effettuava nei giorni di lunedì, martedì e mercoledì, precedenti la festa dell'Ascensione.

La cerimonia
In quei giorni la gente si recava di buon mattino alla chiesa parrocchiale dove partiva la processione guidata dai xagheti (chierichetti) con il crocefisso, seguiti dal parroco (in alcuni casi su un cavallo bianco), poi le associazioni devozionali, le donne, le suore, gli altri uomini. Il corteo sacro percorreva strade, sentieri e campi della parrocchia. Un tragitto che ogni giorno cambiava, ma che si ripeteva identico ogni anno. Nei punti prestabiliti, sempre fissi negli anni, la processione si fermava ed il prete alzando la croce, rivolgendosi ai quattro punti cardinali, cominciava a dire: "A fulgure et tempestate" (ossia dalla folgore e dalla tempesta) e tutti i partecipanti, inginocchiati a terra, rispondevano: "Libera nos Domine"(ossia Liberaci Signore). Il parroco proseguiva: "A peste, fame et bello" (dalla malattia, dalla fame e dalla guerra) e la gente a replicare: "Libera nos Domine". Il parroco, infine, così concludeva: "Ut pacem nobis dones, Te rogamus audi nos” (Ti preghiamo donaci la pace).                    
Di questa processione segnaliamo la variante descritta da Giuseppe Caprin in Le Marine Istriane. Questa rogazione era ancora eseguita a Rovigno prima della II Guerra Mondiale: “… tutta la città per tre giorni è preoccupata da quello spettacolo, che trasporta la chiesa fuori, all’aperto, sotto la volta immensa del cielo. Il primo giorno la processione esce con la coda lunga e popolosa di pescatori, di contadini, di uomini e donne a cavallo; a cavallo i preti preceduti dalle croci e dagli stendardi; e, cantando va dall’una all’altra stazione, serpeggiando per stradicciuole campestri, sino a che giunta sul colle Ceresiol su quella libera eminenza, i sacerdoti, contornati dalla folla, benedicono le campagne digradanti giù con fiori, con fronde, discendenti con l’alberume denso e le strisce bionde dei grani …”. “Tutti dal primo all’ultimo, portano a casa il piccolo fascio di frumento … Il secondo giorno la processione va dalla parte opposta e passa con le barche un seno d’acqua per arrivare alla chiesetta di S. Felice, dove è già pronta la musica. Riprende a sera la via della città, ritornando con pampini della vite intorno al Cristo, sui cappelli, sui rozzi bardamenti delle cavalcature. Il terzo giorno il corteo ritorna infiascato di rami di olivi, e Rovigno lo accoglie buttando fiori dalle finestre; momento che mette nell’anima l’ebbrezza della fede”. 
In un altra importante Rogazione, che si svolgeva a Dignano, in Istria,  gli uomini e i ragazzi partecipavano alla processione, recando in mano un bastoncello di ginepro con le rame intrecciate, al termine di ogni litania essi battevano i bastoni rumorosamente per terra. Finite le Rogazioni, tali bastoni venivano sistemati in cucina per servire da «rampegoni», cioè da sostegni ai quali appendere le lucerne ad olio. Si riteneva che l’olio bruciato nelle lucerne, sostenute dai rampegoni divenuti sacri, grazie all’uso fatto nelle rogazioni, proteggesse la famiglia portando la pace e la benedizione di Dio.
All’inizio del secolo scorso è documentato, come nelle campagne del Basso Piave, tra Portogruaro, Oderzo ed il mare, si facesse uso disperdere petali di rose, di viole ed altri fiori lungo i sentieri dove sarebbe sfilata la processione della Rogazione.  Con le rose i contadini disegnavano pure le scritte: “Viva Maria – Viva Gesù”.
Celebre era anche la Rogazione di Asiago che nel terzo giorno prevedeva l’adempimento di un voto fatto alla Madonna durante la famosa peste del 1630. In questi giorni i giovani si scambiavano uova sode quale pegno d’amore.
A Gambarare di Mira, il secondo giorno delle Rogazioni, il parroco saliva in barca verso San Giorgio in Alega (nella laguna di Venezia) per benedire l’ultima parte del territorio parrocchiale. Nel corso degli altri giorni, nella varie soste ai capitelli ed altarini allestiti all’uopo, il parroco leggeva un tratto del vangelo di San Marco, poi presso le grandi fattorie, con quadri della Madonna e di altri Santi messi sugli altarini, pregava per i bisogni degli abitanti. Ad ogni fine mattinata la processione terminava in una chiesa del territorio parrocchiale, dove veniva cantata la Messa de Angelis. In questa occasione i campanari passavano di casa in casa col bigolo in spalla e due ceste, in uno erano contenute crocette di cera rossa, verde, o celeste, ottenute dalla fusione del cero pasquale, mentre l’ altro era destinato alla raccolta delle uova donate dalle famiglie e di quelle raccolte dagli altarini. A compensa di queste offerte i campanari consegnavano proprio le crocette di cera, le quali venivano appese agli alberi da frutto, oppure alla capixagna del campo, alla testa del vigneto, o sotto il portego della casa. Le crocette delle Rogazioni difendevano stalle, campi e vigneti dai pericoli dei parassiti e dalle grandinate estive.


Messa delle Rogazioni                                                                                                                       
La Messa delle Rogazioni prevedeva generalmente quasi sempre alcune Letture, le quali servivano da esempi al popolo, per fargli capire l’importanza della preghiera a Dio, da cui tutto dipendeva, dal frutto della terra, al lavoro dell’uomo, al bello ed al cattivo tempo. Le Letture erano le seguenti.
Prima lettura (Gc 5,16-20). - "Carissimi: Confessate l'uno all'altro i vostri peccati, e pregate l'uno per l'altro per essere salvati, perché molto può l'assidua preghiera del giusto. Elia era un uomo soggetto alle miserie come noi, eppure, avendo pregato ardentemente, perché non piovesse sopra la terra, non piovve per tre anni e sei mesi. Poi di nuovo pregò; e il cielo donò la pioggia e la terra diede il suo frutto. Fratelli miei, se alcuno di voi si allontana dalla verità, e uno lo converte, sappia che chi richiama un peccatore dal suo errore, salverà l'anima di lui e cancellerà una moltitudine di peccati".
Vangelo (Lc 11,5-13). …"Ed io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto. Infatti colui che chiede riceve; colui che cerca trova, e a colui che picchia sarà aperto. E se alcuno tra di voi domanda al Padre un pane gli darà forse un sasso? e se un pesce, gli darà invece un serpente? e se chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi, dunque, pur essendo cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figlioli, quanto più il vostro Padre del cielo darà sicuramente lo Spirito buono a tutti coloro che glielo domandano".



Ła Sensa
Il giorno dell’Ascensione, a conclusione delle rogazioni, in molte chiese era uso, al canto del Gloria, togliere la statua del Cristo risorto, la quale era stata sistemata per quaranta giorni sull’altare maggiore al posto della croce, che veniva nuovamente ricollocata al suo posto. Era il segnale per far capire a tutta la gente che il Signore era asceso al Cielo ed il tempo pasquale volgeva alla fine.
Ła Sensa era un giorno importante per trarre presagi sul resto dell’annata e perciò erano coniati molti detti:

Se piove el dì de ła Sensa el boaro perde ła somensa: tanta paja e poca somensa. Par curanta dì no semo sensa, par curanta dì ke no se pensa. (area veneziana)
Al dì de ła Sensa łe brixe scompensa.  (area trevigiana)
Cuando semo al dì de ła Sensiòn ła spiga ła méte el garbaiòn (pennacchio). (area trevigiana)
De ła Sensa el formént el va in somensa. (area bellunese).

Fabio Bortoli

Testi consultati:
VINCENZO CAMPESATO - BEPPINO GAMBARO, Mostra della Civiltà Contadina, Mogliano Veneto, 2008
ANTONIO NIERO, Tradizioni popolari veneziane e venete, Ediz. Studium Cattolico Veneziano, Venezia, 1990
FRANCESCO BABUDRI – Fonti vive dei Veneto-Giuliani – Casa Editrice Scolastica Luigi Trevisini, Milano.
DOM PROSPER GUÉRANGER, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959.