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In soli vent’anni di odiato dominio francese andarono in vario modo saccheggiate o distrutte: almeno trentamila opere d’arte provenienti da chiese, conventi, scuole di arti e mestieri e sedi di magistrature venete; venticinquemila pitture, tra le quali capolavori come interi cicli del Carpaccio, Tiziano, Veronese, Pordenone, Mantegna ed altri; un numero incalcolabile di sculture in legno ed in pietra, di leoni di S. Marco, di statue, tra le quali quella di S. Marco; opere orafe in oro e argento; arredi, altari, ornamenti, vere da pozzo; la gran parte del Tesoro di S. Marco - sacro per i Veneti - fuso per pagare una colossale indennitá di guerra, che in realtá Venezia non aveva né dichiarato, né combattuto; le Insegne dogali ed il Libro d’oro dei Padri della Repubblica Serenissima, bruciato in Piazza S. Marco; i dossali e le tribune in legno del Doge e dei Magistrati delle sale di Palazzo Ducale; migliaia di antichi manoscritti, incunaboli, stampe e libri di pittura, disegni, manoscritti musicali, codici rarissimi provenienti dalla biblioteca Marciana, da collezioni private veneziane o da monasteri; candelieri, aste, mazze, lampade, crocefissi, bacili, tutti in oro ed in argento; perle, diamanti e pietre preziose; il Bucintoro - la nave di rappresentanza dello Stato Veneto, ornato di statue allegoriche - prima venne fatto a pezzi e poi bruciato per fondere le parti in oro; numerosissime reliquie e reliquiari di Santi. La cittá subí, inoltre, interventi urbanistici ed architettonici radicali ed estremi, quali: la demolizione di settanta chiese e di oltre sessanta palazzi, fra questi i Magazzini di Frumento, per creare i “giardini reali”; la demolizione della Chiesa di S. Giminiano del Sansovino situata in Piazza S. Marco e delle adiacenti porzioni di Procuratie Vecchie e Nuove per costruire “l’ala napoleonica”; lo stravolgimento della Scuola Grande della Caritá e dell’accluso Monastero per adibirla a sede dell’Accademia di Belle Arti e a Gallerie dell’Accademia; lo snaturamento dell’intero sestiere di Castello abbattendo tre chiese, un monastero ed altri palazzi per far posto ai “giardini pubblici”; l’interramento del Rio di S. Anna per creare la “Via Eugenia”, che avrebbe dovuto mettere fine all’insularit? di Venezia proseguendo attraverso l’isola di S. Erasmo e del litorale del Cavallino; la profanazione e trasformazione in caserme, polveriere e fortini di numerosi edifici di culto; la trasformazione in caserme delle isole di S. Francesco del Deserto, di S. Secondo, di S. Spirito, di S. Giorgio in Alga; delle isole del Lazzaretto Vecchio e Nuovo, delle Grazie, di S. Andrea, di S. Giacomo in Paluo; l’abbattimento della gran parte delle case di Malamocco e del Lido per sgombrare la visuale ai cannoni del forte del Lido; l’imbonimento lagunare e dell’isola di S. Cristoforo per realizzare il cimitero; l’asportazione dei cavalli marciani e del leone di S. Marco dalla colonna di S. Marco, in quanto simboli del nostro popolo. Alle chiese e campanili rimasti rubó persino le coperture in rame e piombo. Venne meticolosamente devastato l’Arsenale, trecento navi militari, le armi, le suppellettili, i cannoni - di cui molti erano vere e proprie opere d’arte militare, attrezzature navali ed i cimeli di tante gloriose vittorie navali. Venne distrutta la flotta mercantile. Le imposizioni francesi nel campo sociale ed economico provocarono sconquassi e danni irreversibili. Ricordiamo in proposito: la soppressione di oltre quattrocento scuole di arti e mestieri, di una cinquantina di monasteri; la tassazione spietata sul macinato, le tasse erano talmente alte che decine di palazzi furono atterrati dagli stessi proprietari non essendo piú in grado di far fronte ai nuovi oneri; la confisca dei depositi di denaro dello Stato e dei cittadini, contenuti nella pubblica Zecca, con la soppressione del Banco Giro (la banca di Stato); la pretesa di quaranta milioni di lire in oro zecchino; il commercio ridotto a nulla per il blocco continentale, vennero a mancare persino i generi alimentari di prima necessitá; la perdita delle ultime ricchezze estorte con forza ai Veneziani per far fronte alle enormi spese di guerra condotta dalla Francia contro l’intera Europa (5 milioni di morti); l’introduzione della coscrizione (leva) obbligatoria; l’istituzione della pena di morte per chi gridasse Viva S. Marco o diffondesse scritti anti governativi o pronunciasse discorsi di critica nei confronti dei Francesi. Alla fine dell’era napoleonica i poveri superavano solo a Venezia le 44.000 unitá e gli abitanti di Venezia che nel 1797 erano 141.000 arrivarono a 100.000; uno degli Stati piú ricchi del mondo era allo stremo. Alvise Zorzi scrive:“La seconda dominazione francese lasciava Venezia in condizioni dalle quali la cittá non si sarebbe piú sollevata del tutto”.
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