nell’interessantissimo
volume di Gian Antonio Stella Schei, a pagina 119, Lei parla di
Venezia, della Repubblica Veneta come "una civiltà non italiana
(quale la Serenissima mai fu né mai si sentì), ma europea
e cristiana".
E’ così gentile da spiegarmi il significato di un’affermazione così perentoria?
Ettore Beggiato
la mia affermazione non pretende affatto di essere originale e
peregrina. Essa è condivisa da tutti gli storici di Venezia
perché è la storia di Venezia che la suggerisce, anzi la
impone. Venezia non svolse mai una politica italiana come il Piemonte
dei Savoia, la Lombardia degli Sforza, la Toscana dei medici, gli Stati
del Papa eccetera, che consumarono il loro tempo e le loro sostanze a
contendersi il dominio della penisola. Di questa, Venezia, non
tentò mai di sottomettere alla propria sovranità
più di quanto le occorreva per tenersi al riparo da eventuali
attacchi terrestri e per impedire ai rivieraschi della laguna di
sviluppare centri e mercati che della laguna potessero turbare gli
equilibri e fare concorrenza a Venezia; sotto la sua sovranità
una Mestre non sarebbe mai nata. Quanto alle preesistenti città
che vi erano incluse, compresa la sua Vicenza, non credo che del
dominio veneziano conservino buon ricordo, perché invece di
favorirne lo sviluppo, lo compresse. Comunque, per vedere com'era
orientata la diplomazia veneziana e quali interessi vi prevalessero,
basta leggere i famosi rapporti dei suoi altrettanto famosi
ambasciatori, esemplari modelli di analisi politiche (io, sia chiaro,
non li ho letti tutti, ma qualcuno sì) per capire che la
Serenissima non fu mai in gara per la supremazia in Italia, ma per
quella sui mari (Adriatico, Mediterraneo, Mar Nero), per l'espansione e
la difesa del suo vasto impero costiero e insulare che dall'Istria e
dalla Dalmazia si estendeva a tutto l'arcipelago greco fino alle coste
turche di Costantinopoli. Era in quella direzione che Venezia guardava,
non verso l'Italia, di cui le premeva soltanto una cosa: che restasse
divisa in tanti statarelli litigiosi in modo che nessuno di essi
prendesse il sopravvento e diventasse una minaccia anche per lei.
Questa è la storia e la tradizione di Venezia: non lo dico io,
sta scritto nei fatti, e fa ancora sentire i suoi effetti. I Veneziani
di oggi non hanno certamente il carattere, la fierezza e la forza dei
loro antenati, grandi come marinai, come mercanti e come predoni che
per secoli tennero in pugno un impero, di cui tutto si può dire
tranne che fosse italiano, ma ne conservano certe pretese: come quella
di considerare il dialetto una lingua e di usarla come tale non solo
nel parlato (parlare in veneziano è per un veneziano di
qualsiasi condizione, anche la più elevata, un segno di
distinzione), ma anche nello scritto, e non senza qualche ragione,
perché, per esempio, il repertorio più genuino del teatro
italiano è quello veneziano. Insomma, l'italianità di
Venezia è quasi soltanto geografica. E forse su questo, pur
nella sua ignoranza, faceva assegnamento Bossi scegliendola come
capolinea della sua scalognata marcia. Ma l'isolazionismo veneziano ha
connotati troppo aristocratici per identificarsi con un secessionismo
sbracato e sgangherato come quello della Lega. Comunque, caro Beggiato,
lei è padronissimo di dissentire dalle mie opinioni. Ma se legge
o rilegge la Storia di Venezia, vi troverà ben poco conforto di
quelle che immagino siano le sue.
Indro Montanelli (Dal Corriere della Sera, 24 settembre 1996)
La corrispondenza di cui sopra è comparsa in Facebook.
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ho chiosato quanto riportato ribattendo che in verità Venezia
curò al massimo lo sviluppo economico dell'entroterra,
suddividendolo in quelli che chiameremmo oggi "distretti", ove ogni
area, a seconda della propria vocazione, si specializzava in un tipo di
produzione.
Basta vedere la ricchezza profusa nei centri storici dell'entroterra,
per accorgersi dello sviluppo raggiunto sotto la Serenissima.
Confrontate i nostri centri storici con altre dell'Italia dell'epoca e
vi accorgerete della differenza e della bontà del governo veneto.
Milo, el sciavon
Sono d'accordissimo con Milo Bozzolan..
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Le affermazioni del vecchio squalo laico-italiano sono impressionanti,
perché parlando della Repubblica Veneta come "una civiltà
non italiana (quale la Serenissima mai fu né mai si
sentì), ma europea e cristiana", ha dimostrato di aver intuito
la sostanza del problema, laddove la nostra cosiddetta classe
intellettuale veneta non possiede gli strumenti critici per fare
un'analisi lucida sul senso della nostra storia e sull'identità
veneta.
Nondimeno, Montanelli è in difficoltà proprio nel
penetrare il senso nazionale veneto, che portò in modo del tutto
naturale e non
dialettico (neppure come confronto o dialogo), ma come propensione
innata di popolo (che mai è esistita a livello "italiano") di
trovare un proprio equilibrio politico, economico e sociale
nell'organizazione del territorio, come Milo è invece riuscito a
mettere in evidenza.
Nessun vicentino consapevole farebbe le affermazioni del mitico
"Direttore": paradossalmente la "discriminazione" contro i Veneti di
Terra neppure si sognava di farla il Patrizio Veneziano, ma la fa
oggi lo sradicato italiano che si crede veneziano perché vive a
Venezia.
A parte ciò, si conferma quello che penso da sempre: tutti sanno
che i Veneti sono da sempre Nazione nel senso più alto del
termine e che l'Italia è da sempre un'espressione geografica,
come osservò con disincanto Metternich.
Il regime sta in piedi perchè vivere da servi è
più comodo che vivere da uomini liberi (finché dura).
WSM
Edoardo Rubini