Dialogo |
SULLA SOVRANITA’ VENETA
Edoardo risponde a distorte affermazioni sulla caduta della Serenissima
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1.
Furono valide le deliberazioni che portarono all’abdicazione di
Doge e Maggior Consiglio nel maggio del 1797?
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Furono nulle per un motivo non formale (come la mancanza di numero
legale, vizio peraltro riscontrabile nel caso specifico), ma per un
motivo sostanziale che - mi meraviglio - gli storici non hanno
evidenziato a sufficienza: in questi atti di abdicazione
l’esercizio della volontà non fu libero. La
volontà è un requisito essenziale dell’atto, che
resta inficiato dall’esercizio della violenza o di minacce.
Non si può decidere alcunché di valido con una pistola puntata alla testa.
Come ignorare che sui governanti veneti pendevano la demenziale e
irrituale dichiarazione di guerra di Napoleone da Palmanova del 1°
maggio 1797, minacce terrificanti proferite a ogni piè sospinto,
l’esempio del Terrore perpetrato in Francia tra il 1789 e il
1794, le stragi di civili commesse in Val Padana durante quel periodo,
la laguna ormai circondata da orde francesi e giacobine assetate di
sangue. Un generale in preda a megalomania furiosa che non segue
più gli ordini del proprio governo intima: “Veneziani,
cambiate la Costituzione (non scritta) o sarò un Attila
devastatore”. Ma gli storici odierni sono di matrice
ideologica liberale, quindi persiste un certo pregiudizio secondo il
quale i Francesi in fondo erano venuti a liberarci, quindi tutta la
colpa viene riversata sui nostri governanti nobili, che si sarebbero
suicidati politicamente con questo atto, più o meno valido.
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2. E’ vero che un Doge non poteva abdicare?
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Non poteva abdicare da solo - credo in forza della Promissiòn
dogàl del Doge Bartolomeo Gradenigo del 1339 - ma nel 1797 si
trattò dell’abdicazione di un intero parlamento con
governo annesso: in questo caso rileva, dunque, l’abdicazione del
Maggior Consiglio (dentro il quale il Doge era ricompreso). Ricordo che
invece il Doge poteva (e doveva) abdicare se invitato a farlo dagli
organi costituzionali. Accadde al povero Francesco Foscari, ormai
in là con gli anni, al quale il Consiglio di Dieci, con un
iniziativa assai opportuna sul piano politico-istituzionale, ma
discutibile su quello giuridico-procedimentale, chiese al Doge in via
riservata di farsi da parte a causa della sua situazione familiare: suo
figlio era al centro di provvedimenti penali con l’accusa di
omicidio volontario.
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3. Con l’abdicazione del Maggior Consiglio lo Stato Veneto perdette la sovranità? .
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No, nel modo più assoluto.
Al processo contro Napoleone tenutosi nel 2003, a una domanda precisa
dell’avv. Fogliata, uno storico rispose tutto il contrario, ma
sbagliò di grosso, perché forse non aveva riflettuto
adeguatamente sul punto.
Gli ultimi atti del governo erano tesi verso due obiettivi: 1. evitare
stragi e distruzioni; 2. salvare il salvabile, assicurando un futuro
degno al popolo veneto.
E tra il salvabile c’era proprio il principio della Veneta
Sovranità: il potere politico, scrisse il Doge nell’ultimo
proclama, è rimesso al popolo in forma di una rappresentanza
provvisionale (provvisoria), poiché la Veneta Nazione fu sempre
titolare della Sovranità, di cui il parlamento veneto (Maggior
Consiglio) fu solo il custode, o depositario. Dov’è,
dunque, questa cessione di sovranità?
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4.
Ha un valore il fatto che i trattati del 1866 prevedessero il consenso
delle popolazioni del Lombardo-Veneto per il mutamento istituzionale?
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Sì, ma non in un quadro di sovranità
“lombardo-veneta”, bensì in base agli accordi
internazionali tra Austria e Francia, mi pare. La guerra del 1866
si era combattuta tra Austria da una parte e Prussia e Italia
dall’altra. Sul campo di battaglia la Prussia prevalse e
costrinse l’Austria a cedere Veneto e Friuli al regno
d’Italia, che pure era stato travolto a Custoza e a Lissa dalle
truppe austro-venete.
Siccome l’Austria si rifiutava di trattare con l’Italia,
che aveva disonorato le regole della politica e della guerra,
consegnò queste terre a Napoleone III come intermediario,
proprio con l’impegno di chiedere alla gente comune da chi
volesse essere governata, considerando anche la prospettiva di un
governo autonomo. Ma i giochi internazionali gestirono la
faccenda in tutt’altro modo: temendo moti popolari, i Francesi
evitarono la programmata cerimonia a palazzo Ducale e ci fu uno scambio
informale di consegne tra plenipotenziari in una cameretta
d’albergo all’hotel Luna (ancora prima che si tenesse la
farsa plebiscitaria a voto palese espresso per strada, all’ombra
delle baionette savoiarde). Quindi l’attuale
sovranità italiana sul Veneto ancora una volta si dimostra senza
titolo.
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5.
Esiste un momento cruciale in cui i Veneti perdettero la
Sovranità? Insomma: quando cadde la Repubblica?
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La domanda se la pose qualche anno fa, in una conferenza
all’Ateneo Veneto, uno storico che non ammiro tanto, ma a cui non
si può disconoscere un certo acume, il prof. Gianantonio
Paladini, ora scomparso. Forse aveva infilato il dito dentro la
piaga. Il principio della Sovranità Veneta è
assoluto, imprescrittibile e inalienabile, osservo io.
Sul piano storico, invece, individuerei il momento critico - in cui si
disconobbe formalmente la Sovranità Veneta - nel Congresso di
Vienna del 1815, quando i 4 veri vincitori di 20 anni di guerra,
Austria, Inghilterra, Prussia e Russia, restaurarono tutti i Regni
abbattuti da Napoleone. Non le Repubbliche, però, forse
facendo una strana equazione Repubblica = Stato sovversivo liberale.
Con questa equazione l’Austria fagocitò la Repubblica di
San Marco da sempre cattolica, dando in realtà seguito alla mira
espansionista mitteleuropea che durava da mille anni, avendo trovato
autorevoli precedenti nella campagna militare antiveneta dei Franchi
condotta dal “Re d’Italia” Pipino nell’809 e in
quella di Massimiliano d’Asburgo con la Lega di Cambrais nel
Cinquecento.
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AGOSTO
2009
A cura di
Edoardo Rubini
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