Le fonti giuridiche |
Viene generalmente indicato nel secolo IX il periodo in cui la Repubblica comincia a ordinare il suo apparato statuale con proprie leggi, anche se tale processo ha sicuramente conosciuto fasi anteriori. I testi legislativi più antichi a noi pervenuti hanno carattere penale: inoltre, come osserva Besta, essi sono strutturati in modo speciale. Non sono costituiti da un precetto accompagnato da sanzione, ma consistono in una " promessa, corroborata da stipulazione penale e giuramento della parte cui incombeva l'osservarla "; tale impostazione rivela una concezione pattizia del diritto, comune ai pacta attribuiti alla cultura giuridica germanica. La promissio propriamente detta era una legge giurata dal popolo riunito in arengo (lat. concio) davanti al Duca: una sorta di autolimitazione giuridica, prodotta come se promanasse dal popolo. Nella constitutio, al contrario, erano il Doge ed i maggiorenti che giuravano nel dare la legge; la sua validità, in tal caso, dipendeva dalla collaudatio populi, cioè dall'approvazione popolare. " Dopo la data e una breve arringa introduttoria sui motivi della legge seguivano le disposizioni prese, e contro i trasgressori si fissava una sanzione, che nel maggior numero dei casi rappresentava quasi una stipulazione penale da soddisfarsi qualora venissero meno alla convenzione giurata. Chiudevano il documento le firme delle parti contraenti, del doge cioè e di un numero vario di cittadini rappresentanti la concione. Il documento era da ultimo autenticato dal notaio con la forma di roboatio e di completio solitamente usata nelle notitiae private ". Ha natura penale la più antica raccolta di leggi veneziane sinora reperita: si tratta della Promissio Maleficiorum del Doge Orio Malipiero del marzo 1181. Sin dalle origini questo specifico tipo di atto si distinse dalle promissioni ducali - intese come giuramento del Capo dello Stato al momento del suo ingresso in carica - tanto per contenuti, quanto per collocazione cronologica (Malipiero era asceso al soglio dogale nel 1178), quanto per la posizione rivestita dal Doge che giura. La Promissione Ducale è un atto di valore costituzionale, con cui il neoeletto Serenissimo Principe si impegna a far rispettare norme di diritto pubblico volte a limitare il suo potere, in modo analogo al giuramento sui Capitolari, cui doveva procedere ogni altro magistrato. La Promissio Maleficiorum, invece, è una compilazione di norme penali, sostanziali e procedurali, emanata nella forma della constitutio. La prima che conosciamo risale al 1181. " Questa legge che può considerarsi come il primo Codice criminale di Venezia giaceva sepolto nell'ammasso dei documenti nel Regio Archivio generale, sconosciuta da tutti, benchè si sapesse che era stata emanata ... È l'esemplare autografo scritto da Paterniano dal Pozzo suddiacono e notajo, e sottoscritto dal Doge Mastropiero, dai Giudici, dagli Avogadori di Comune, dai Camerlenghi e da alcuni cittadini " (Valsecchi). Andrea Dandolo, nei suoi Annali , riferisce che nel 1195 il Doge Enrico Dandolo (eletto nel 1192) riformò questa Promissio, aggiungendovi nuovi Capitoli: " Dux, hoc anno, statuta eddidit, et promisionem maleficiorum a predecessore condictam reformavit, qua, paucis additis seu coretis, usque in hodiernum Veneti utuntur ". Dopo queste due antiche raccolte in materia criminale (del 1181 e del 1195), dunque, il 7 luglio 1232 viene deliberato il Liber Promissionis Maleficii di Jacopo Tiepolo; divisa in 29 capitoli, questa promissione subirà solo marginali riforme (Correzioni) apportate da alcuni Dogi sempre in età medievale (aggiunte di seguito al testo tiepolesco, oppure all'interno degli Statuti in materia civile), riuscendo così a transitare integralmente in tutte le compilazioni successive fino a quella conclusiva, redatta da Angelo Sabini nel 1751 con il titolo di Leggi criminali del Serenissimo Dominio Veneto in un solo volume raccolte, e per pubblico decreto ristampate. Con il Trecento si afferma definitivamente un nuovo tipo di legislazione, ad opera di una serie di magistrature dotate di potestà legislativa: si tratta dell'abbondante profluvio di Parti consiliari che andrà a investire tutti i settori della vita pubblica e privata, fondando nuove discipline laddove la legislazione non era arrivata ed innovando laddove già si era statuito. I giuristi di ogni epoca rimprovereranno il legislatore veneto di dispersività, confusione, contraddittorietà, ma la macchina della giustizia terrà sempre dietro ai fenomeni criminali con la dovuta fermezza ed efficacia, facendo massimo affidamento su provvedimenti aventi perlopiù carattere occasionale, tenuti scrupolosamente in ordine da un efficiente apparato burocratico.
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Anche per quanto riguarda la materia civilistica occorre fare riferimento a Jacopo Tiepolo, con i suoi cinque Libri degli Statuti, forse la più imponente opera legislativa compiuta dalla Serenissima: essi vennero alla luce nel 1242. Nel giro di alcuni decenni questo corpo legislativo verrà integrato con interventi di un certo respiro: 1. - le Addizioni e Correzioni (il c.d. liber sextus) promulgate da Andrea Dandolo il 5 novembre 1346, che raccolsero normative nuove, tra cui gli Statuti tiepoleschi dei Giudici di Petizion (processo civile) del 1244 e gli Ordinamenti di Francesco Dandolo del 1333; 2. - gli Statuta Venetorum di Agostino Barbarigo, che nel 1492 riunirono nel sesto libro anche le correzioni della Promissione dei Malefici e la legge pisana sugli appelli del 23 marzo 1492, nonché 46 deliberazioni di vari Consigli, Consulta quaedam in diversis Consiliis Venetorum deliberata et ex authentico excerpta e una Pratica del Palazzo Veneto, piccolo prontuario giuridico probabilmente redatto da funzionari ad uso del foro. Il diritto della navigazione e quello feudale rappresentano due distinti settori del diritto che trovarono compiuta codificazione. Il Codice per la Veneta Mercantile Marina veniva pubblicato il 21 settembre 1786, dopo una laboriosa gestazione durata una quarantina d'anni; era strutturato in 3 parti e regolamentava, tra l'altro, la fabbricazione dei bastimenti, le patenti nautiche, le attività degli armatori, la retribuzione dei marinai, i vari contratti, le assicurazioni, i naufragi, i testamenti. Il Codice feudale della Repubblica di Venezia veniva approvato con Decreto del Senato il 6 settembre 1780, era diviso in 24 titoli e disciplinava le giurisdizioni feudali e i diritti fiscali sul patrimonio dei feudatari.
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Zordan ha proposto di inquadrare le fonti dell'Ordinamento all'interno di una classificazione gerarchica; nel tracciarla ha tenuto conto dei precetti contenuti in documenti ufficiali, quali la Promissione di Enrico Dandolo (1192), lo Statutum Novum di Jacopo Tiepolo (1242), la Promissione di Ranieri Zeno (1253), lo Splendor, opera dottrinaria duecentesca di Jacopo Bertaldo. Al vertice si colloca lo Ius Constitutum, cioè le norme scritte sancite dagli organi costituzionali: si tratta dei Capitolari (norme procedurali e di diritto pubblico relative ad ogni singola magistratura), delle Promissioni Ducali e degli Statuti. Ad un secondo livello potremmo collocare le deliberazioni consiliari. Ne è stata proposta una tripartizione: 1. - le Parti, ovvero le leggi del Maggior Consiglio o di un organo da esso derivato, 2. - i Consulti, o Decreti: indicherebbero atti con valore di legge emanati dal Senato e dal Consiglio dei Dieci, 3. - le Terminazioni: si tratterebbe di atti propri delle Magistrature mediane, spesso emesse in esecuzione di atti sovraordinati. In questa categoria potrebbe comprendersi un tipo di atto raramente considerato (cui fanno riferimento talvolta le pratiche forensi): alcune magistrature detentrici anche del potere legislativo emanavano sentenze che venivano ad assumere valore di precedente, se non proprio vincolante, almeno orientativo per l'intero corpo giudiziario. " Se poi la Legge applicasse pena di morte per un delitto, ma la consuetudine un'altra; si osserva la consuetudine a fronte della Legge, mentre dee credersi, che pur il Principe, tacendo, non la disapprovi " (Barbaro). Questa proposizione, che sembra formulata a mo' di rebus, vuol dire che il diritto di produzione giurisprudenziale, definito "consuetudine", se è ritenuto coincidente con la tacita volontà dello Stato (il Principe), è in grado di derogare le norme di legge: dunque, si pone come fonte ad essa sovraordinata. Questo sistema di produzione giuridica può ricordare gli ordinamenti di Common Law. Non si deve trascurare, infine, che in forza dello Statutum Novum, sia le norme scritte, che le consuetudini ragionevoli ed approvate, erano suscettibili di estensione analogica, anche in campo penale. Ad un terzo livello si trova la consuetudine, che per avere validità doveva essere sottoposta a probatio in iudicio. Occorreva, quindi, che i giudici constatassero la sua attuale vigenza per mezzo di testimoni degni di fede che ne attestassero l'antichità. La glossa allo Statutum Novum esigeva la vigenza minima della norma per un periodo non inferiore ai 30 anni ed era preclusa l'ammissibilità di consuetudini irragionevoli.
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